ESTER

“Che pacchia! - pensò subito Tommaso entrando nella sua nuova classe, dove avrebbe affrontato la prova finale del liceo, lo spauracchio dell’esame di stato – Dopo anni di scuola dai preti, eccomi in una classe mista. E che classe! Solo quattro maschi con diciotto ragazze, molte delle quali veramente carine.”

Ce ne era una più carina delle altre. Notò subito Tommaso, e aveva un nome esotico, d’altri tempi: Ester.

Ben presto anche il nome trovo adeguata spiegazione. Alla seconda ora, dopo il benvenuto presentato dalla prof di italiano, ora “leggera”, di religione, Ester uscì di classe, per il semplice motivo che era di religione ebraica. Così si toglieva dal mazzo, come se non bastasse il suo aspetto a farla emergere; non era forse la più bella, la più formosa e dotata, ma la sua era una bellezza che, pur discreta, si faceva comunque notare: una bambolina bruna, dalla carnagione rosea e vellutata, magra quel che basta per non apparire ossuta, diciamo snella; ma quel che immediatamente colpiva in lei era lo sguardo; uno sguardo fiero, quasi battagliero, in palese contrasto con la sua figura minuta e dolce. Quando ti guardava, i suoi occhi scuri sembravano penetrarti fino all’anima, ammesso di averne una. Tommaso, un po’ per reazione alla rigida educazione impartitagli dai preti (ad onta della quale era stato cacciato proprio all’ultimo anno per scarsa aderenza ai principi dei suoi educatori), e molto per provenire da una famiglia sostanzialmente laica, era tranquillamente disinteressato alla problematica religiosa, per cui trovò strano l’allontanarsi di Ester dall’aula: lui sarebbe rimasto volentieri se, mettiamo il caso, l’insegnante di religione fosse stato islamico. Conoscere cose nuove era per  Tommaso una delle esperienze più avvincenti, quindi perché non accostarsi alle varie religioni? Anche un miscredente come lui sapeva coglierne i lati positivi, verificare quegli insegnamenti, quelle regole che tutte le più importanti forme religiose pretendevano essere il fondamento della loro dottrina, ma altro non sono che il concentrato delle migliori regole di vita, bagaglio dell’umanità, qualunque sia il suo credo religioso; questo è il lato positivo, quella spiritualità virtuosa, che fa di ogni uomo pio un testimone contrario alla convinzione filosofica dell’homo homini lupus.

Così mentre il prete insegnante parlava di Spirito Santo e compagnia, Tommaso si perse a fantasticare su come avrebbe potuto avvicinarsi di più ad Ester: la ragazza lo aveva stregato fin dal primo momento, ed ora lui non vedeva l’ora di stregare lei.

Anche nei giorni seguenti questo fu il suo pensiero fisso, che non gli consentì nemmeno di fraternizzare come si deve con i nuovi compagni, i quali pensarono subito di lui che fosse uno snob, o per dirla a modo loro, uno stronzo.

D’altro canto a Tommaso poco importava di rapportarsi correttamente con tutti: dall’alto della sua superbia erano pochi eletti che ammetteva alla sua corte, ed al momento c’era posto solo per Ester; che pur ignara, cominciava a domandarsi perché quel ragazzo la guardasse tanto: ogni volta che si volgeva dalla sua parte, puntualmente se lo ritrovava con gli occhi addosso.

Gli sguardi si incrociavano, e nessuno dei due veniva distolto; era quasi una sfida, Ester come sempre senza soggezione e Tommaso, pur con il cuore in tumulto, spavaldamente a tenerle testa.

E tramite gli occhi, due anime si incontravano, anticipando di gran lunga il percorso che più avanti avrebbero intrapreso i due cuori.

Continuarono per giorni a fissarsi spesso, con intenzione, senza che una sola parola corresse tra i due ostinati giovani.

Poi una mattina fu lei a prendere l’iniziativa:

“Possibile che con tanto guardarci non si riesca a trovare proprio nulla da dirci?”

“Potrei cominciare con dirti che sei bella, da morire – e Tommaso, pur arrossendo vistosamente per l’audacia, si meravigliava di essere ancora vivo e di aver pronunciato quella spavalda verità.

“E che significa essere belli? C’è forse qualche merito? Dovrei compiacermene?”

Subito Ester volle chiarire che non apprezzava i complimenti che riteneva esagerati, ma lo faceva con garbo, senza strafare, per non ferire chi mostrava di apprezzarla, forse troppo.

Da parte sua Tommaso protestò che non si trattava di complimenti ma di una lampante verità; mentre le parole fluivano facilmente, il rossore si faceva vampa, tanto che Ester scoppiò in una allegra, smitizzante risata.

“Lo vedi? Vuoi fare il dongiovanni ed arrossisci come una mammola!”

Ed il riso contagiò Tommaso, ben contento di aver trovato una via di fuga, un modo elegante per trarsi dall’imbarazzo cui la sua prepotente voglia di stupire lo aveva costretto.

“Scusami, non è mia abitudine fare il cascamorto, non so cosa mi ha preso.” ma in fondo lo sapeva benissimo: Ester oramai era la sua méta, il traguardo che da quel momento avrebbe cercato di raggiungere, con ogni mezzo e a qualsiasi costo.

E ci mise tutto l’impegno di cui era capace; per mesi mise in atto la sua marcia di conquista dopo aver freddamente studiato a tavolino la strategia da applicare.

Avrebbe conquistato ogni componente la famiglia della sua Dulcinea, per arrivare fino al cuore di lei. Cominciò con farsi amico del fratello, poco più giovane ma già alle prese con le prime schermaglie con l’altro sesso, e tutto occupato a vincere timidezza e inesperienza.

Tommaso si fece benvolere non solo perché aveva manifestato un interesse, una attenzione che nei più giovani fa sempre un certo effetto, ma per un concreto aiuto.

A Tommaso veniva assai facile, quasi spontaneo comporre in versi, così si divertiva a preparare per Davide bellissime poesie d’amore, che poi costui spacciava come sue con la bella del momento.

Tommaso si era costituita così una alleanza, forte anche del cemento della connivenza e Davide fu l’ariete che gli permise di abbattere le porte della famiglia Pesaro. Tommaso cominciò a frequentare la casa di Ester diventando ben presto una presenza costante; che gli permise di studiare da vicino i punti deboli del resto della famiglia.

La mamma di Ester era una bravissima cuoca, una vera esperta in cucina “kasher”.

Tommaso, che era una buona forchetta, le dava grande soddisfazione, complimentandosi per la bontà dei manicaretti che con orgoglio la signora gli faceva gustare sempre più frequentemente, invitandolo continuamente a fermarsi, per pranzo o per cena, secondo l’orario.

In breve Tommaso arrivò a consumare più pasti in casa Pesaro che a casa sua.

E poi fu il turno del padre, che gestiva un grande emporio di abbigliamento in campo san Geremia.

Le persone di una certa età si accostano al computer con soggezione, con un timore reverenziale che a Tommaso tornava molto utile: si offrì di insegnare ad Isacco i rudimenti dell’informatica, quel tanto che bastasse per una gestione più moderna del negozio; ma i progressi dell’allievo erano così lenti e di scarso effetto pratico che Tommaso si autonominò garzone di bottega e cominciò a lavorare senza retribuzione per l’azienda.

Il ragazzo era finalmente riuscito a portare dalla sua parte tutta la famiglia di Ester ed ora cominciava la parte più impegnativa dell’impresa; ci si potrebbe interrogare sui motivi che spingevano Tommaso ad un comportamento tanto complicato e tortuoso, in luogo di un normale corteggiamento diretto, dichiarandosi apertamente con l’amata; due erano i motivi profondi, anzi tre: in primo luogo Tommaso non tollerava alcuna delusione, non ammetteva sconfitta e un eventuale rifiuto lo avrebbe distrutto.

Così prima di mostrarsi voleva essere assolutamente certo di vincere; in secondo luogo la particolare, profonda religiosità di Ester, che non era di aiuto ad imprese amorose di un certo spessore (e a dire invero, nemmeno a quelle frivole!); infine la ragione più importante fra tutte: Ester era per Tommaso il centro dell’universo, l’unico mondo in cui a lui sembrava valesse la pena di vivere; insomma, la posta in palio era talmente alta da giustificare tanto accanimento e tanta cura nel preparare un futuro felice.

Non va trascurata nemmeno la grande ritrosia in Tommaso di far emergere i sentimenti, specialmente quelli più forti voleva rimanessero un segreto : per tutti, perfino (e soprattutto) per Ester.

Aveva deciso di farla innamorare senza mai parlarle del suo amore: questo avrebbe dovuto apparire da solo, sorretto dai fatti e dai comportamenti – niente parole, niente poesia.

Ed architettò un piano veramente diabolico: avrebbe puntato tutto sulla religione,, una delle cose più importanti nella vita di Ester.

Sì, avrebbe fatto abiura, abbracciando la fede ebraica; non sarebbe comunque stata una impresa semplice: non poteva pensare di conquistare ad uno ad uno tutti i componenti la comunità del Ghetto, così la sua preparazione in una materia che tutto sommato fino a questo momento aveva rappresentato per lui interesse zero avrebbe dovuto essere profonda, da far concorrenza al rabbino.

Ma se l’obiettivo valeva la pena, non c’era sforzo che Tommaso non fosse in grado di affrontare; ed Ester come obiettivo era veramente importante.

Si buttò anima e corpo nello studio delle scritture, documentandosi inoltre su tutto quanto avesse a che fare con la gente di Sion.

Fu così tenace nel suo studio e nel documentarsi che in capo ad un anno era pronto a venire allo scoperto, e fare ingresso nella sua nuova, grande famiglia; perché la comunità questo era oramai per lui: come una superfamiglia, ed il Ghetto era la sua casa, la sua patria e in fondo il suo Eden privato.

Sempre per via di Ester: ovunque ci fosse lei, c’era il sole, anche in mezzo alle tempeste. E questo sole aveva avuto non piccola parte nel progetto di Tommaso: l’argomento principe delle loro conversazioni, dei ragionamenti e delle discussioni era la Tohrà. Così Tommaso univa due obbiettivi in uno: approfondiva le sue conoscenze abbeverandosi ad una delle più valide fonti, e cominciava una serrata marcia di conquista, intrappolando Ester sulle cose che più le stavano a cuore; e questo cuore poco a poco si avvicinava inconsciamente ma inesorabilmente verso Tommaso, che maliziosamente andava a scovare i passi più poetici e sensuali delle scritture e li proponeva con nonchalanche ad Ester in luogo di un normale corteggiamento; e la ragazza senza accorgersene veniva lentamente imprigionata nella tela che il suo scaltro ragno andava tessendo.

Ester non era certamente una ragazza sprovveduta, e questo cambiamento così profondo in Tommaso le metteva addosso dubbi e un disagio profondo perché questi dubbi le parevano irriverenti, delle cattiverie gratuite nei confronti del ragazzo che mai si era permesso una confidenza, se non il ricorso a passi delle scritture decisamente allusivi.

Tuttavia non poteva non rimproverarsi un sospetto ingeneroso anche se in parte giustificato. Ma che diritto aveva di sollevare dubbi sulla correttezza e sulle intenzioni di Tommaso? Poteva illudersi che si trattasse di qualcosa di diverso da un giovanile desiderio di stupire? Tommaso meritava forse un giudizio così severo? E se si fosse clamorosamente sbagliata? Se accusando il ragazzo avesse invece accusato se stessa confermando un pensiero ed un sentimento di cui nemmeno si sentiva sicura? Come avrebbe potuto difendere la propria buona fede se Tommaso sdegnato avesse negato di avere particolari mire su di lei; e se poi questa indignazione fosse stata sincera, che figura avrebbe fatto lei, e peggio ancora, quanto male avrebbe fatto ad un innocente, quanto dolore gli avrebbe procurato? E in ultima analisi, se in lei fosse in procinto di sbocciare un nuovo, ancorché negato, sentimento, quale sorte gli sarebbe toccata? Quale speranza di nascere correttamente e spontaneamente? Non sarebbe forse nato morto, viziato e negato da un peccato originale indelebile e distruttivo?

Era un doloroso macerarsi per Ester, un coltivare dubbi terribili, che non la facevano dormire, che tormentavano le sue notti.

Perché Ester tutto poteva desiderare, meno che innamorarsi; e di Tommaso poi! Un fratello, un amico, un compagno di giochi, ma che pazzia pensare di farlo diventare un compagno per la vita. Eppure l’idea non le appariva impossibile, solo problematica, e anzi per certi versi anche desiderabile. Un rebus da risolvere in fretta, e da sola: non poteva certo chiedere consiglio a quello che in quel momento era l suo consigliere più fidato, proprio Tommaso. Ma un problema di questa mole le appariva insormontabile, senza un contributo di quella saggezza che sapeva di non possedere. In famiglia certo la saggezza non era merce rara: suo padre mostrava di possederne in quantità, e anche sua madre, pur meno intelligente dello straordinariamente intelligente consorte, era senza dubbio dotata di quello spirito giusto, quella capacità di esserle madre e amica al tempo stesso, che forse, vincendo il rossore e l’imbarazzo, si poteva tentare di sfruttare: Con il padre sarebbe stato non dico difficile, ma semplicemente impossibile. E ancora più difficile trovare appoggi all’esterno, fuori della famiglia. Il più saggio personaggio che Ester conosceva era il rabbino, ma farlo partecipe dei suoi dubbi e delle sue Ansie le sembrava fuori luogo: certo avrebbe potuto chiedergli conforto sul piano religioso, ma il problema investiva purtroppo anche altre sfere, così intime e personali da sconsigliare di parlarne ad estranei; inoltre con il rischio di coinvolgere anche Tommaso, di procurargli dei fastidi od ostacoli alla sua intenzione di abbracciare la religione ebraica.

Così alla fine decise di confidarsi con sua madre, cercando le parole più adatte, che non mettessero in cattiva luce Tommaso ma che al tempo stesso potessero dare a Rachele l’esatta misura del delicatissimo dubbio nel quale si dibatteva sua figlia.

E sua madre raccolse volentieri questa confidenza e si sforzò di dare il consiglio più utile.

“Devi cercare, figlia mia, di scavare prima di tutto dentro di te, di stare a sentire il tuo cuore, ma soprattutto la tua mente e la tua anima; Tommaso è un ragazzo d’oro, e non desta certo meraviglia che abbia fatto nascere in te qualche aspettativa, che prima o poi potrebbe mutarsi in desiderio; ma alla tua età pensare di legarsi per la vita ad una persona, è un passo da meditare, non senza aver acquisito la certezza che anche questa persona voglia altrettanto intensamente legarsi a te. Cero il suo attaccamento alla famiglia e la sua recente ma credo sincera conversione la dice lunga sulla serietà dei suoi propositi, ma la domanda è: in questi propositi c’è posto anche per te? O addirittura non sarai proprio tu la causa di questi propositi? Mi spiace darti altri dubbi anziché toglierti quelli che già avevi. Ma in un certo senso devi essere grata a questi dubbi: dietro l’angolo, dopo la loro risoluzione, si nascondono due cose:

serenità, se deciderai che è meglio non farne nulla, e felicità se alla fine sceglierai Tommaso. Perché di una cosa sono certa, è un uomo così che può farti davvero felice.”

Rachele aveva tentato di rimanere in una posizione centrale, di non spingere la figlia in una direzione piuttosto che in un’altra, ma inconsciamente faceva il gioco di Tommaso, ne perorava la causa meglio di quanto avrebbe potuto fare lui stesso: E in fondo Ester non chiedeva di meglio che farsi convincere, soprattutto da uno spettatore teoricamente asettico, super partes. In realtà il consigliere che Ester si era scelto era il meno asettico che ci potesse essere, perché Rachele era stata conquistata dal ragazzo, ne era sinceramente entusiasta e non poteva augurarsi un genero migliore.

Certo i ragazzi erano giovani, ma entrambi in possesso di una maturità insolita, che prima o poi li avrebbe portati insieme verso un futuro radioso, felice; di questo Rachele era profondamente convinta ed è per questo che non poteva essere un buon giudice, imparziale quanto basta.

Così, con il conforto del benevolo ed autorevole giudizio di sua madre, Ester decise che valeva la pena di tentare. Unico neo, il fatto che, nonostante l’atteggiamento di Tommaso fosse eloquente, il ragazzo non si decideva a dichiararsi. Non era certo timidezza, si diceva Ester, che lo aveva più volte sentito battersi con foga e perizia quando si trattava di difendere le proprie idee: e lo faceva senza spavalderia, ma certamente non mostrava timidezza, né titubanza, né incertezza di giudizio.

Dunque se non si pronunciava, forse era perché non aveva nulla su cui pronunciarsi. Forse tutti i ragionamenti che Ester si era fatta erano solo fantasie, sogni romantici di giovinetta, proiezioni di desideri della donna che in lei stava sbocciando.

Non rimaneva altro che cercare l’occasione per chiarire, se non a parole, almeno con i fatti le intenzioni o i progetti di Tommaso, per tentare di scoprire se in questi progetti c’era spazio anche per lei.

Fu anche per questo che accettò di buon grado l’idea avanzata da Tommaso di fare una gita fuori porta in quel tiepido maggio che stava oramai per terminare. Una lunga passeggiata, loro due soli, al Lido.

Tenersi per mano in riva al mare fu una esperienza dolcissima. Dal ex Blue Moon piano piano raggiunsero la spiaggia deserta degli Alberini: due ore di parole, ore in cui di tutto si parlò meno che dell’argomento che più stava a cuore ad Ester, la loro situazione, il loro futuro. La ragazza invero tentò di lanciare parecchie esche ma Tommaso faceva orecchi da mercante, svicolava, cambiava discorso. Ester era anche un poco indispettita, una situazione che non riusciva a dominare la metteva a disagio, la spiazzava.

Pareva che Tommaso, di solito accondiscendente, accomodante, fiutasse la trappola, rifiutando l’ostacolo.

Quando tra le dune trovarono uno spiazzo comodo per stendere la coperta e predisporre il pic-nic, l’impegno di sciorinare le vettovaglie la distolse un poco dalle sue rabbiose meditazioni.

Mangiarono senza appetito, per abitudine, ansiosi di riprendere quel fiume di parole che la pausa pranzo aveva interrotto.

Stesi sulla coperta e guardando il cielo, si tennero ancora per mano quando ripresero la conversazione.

“Posso farti una domanda?” Come sempre lui rispose: “Sai che puoi chiedermi tutto quello che ti pare.”

“Cosa ti manca per essere veramente felice?”

Di solito Tommaso cominciava da lontano le sue risposte, costruendo una bella impalcatura che circondava da ogni lato possibile la domanda, ne metteva in risalto ogni risvolto e alla fine emetteva la risposta, sempre chiara, inequivocabile. Anche stavolta la risposta fu chiarissima, ma rapida e sintetica, una fucilata.

Di slancio, quasi dando l’impressione che la parola venisse direttamente dal cuore, senza transitare per la mente, Tommaso pronunciò senza esitazione la formula più sintetica: “Scoparti”

Ester rimase impietrita per la brutalità del pensiero, che oramai non era più tale: era una dichiarazione; una proposta, una minaccia. E l’unica cosa che le sembrò intelligente rispondere fu: “E perché no?”

Con furore i due giovani consumarono le loro nozze naturali, assecondando le voglie del corpo e costringendo la mente a ritirarsi, incalzata dalla furia dei sensi. Poi tacquero a lungo, tenendosi ancora per mano. Non servivano più parole, i gesti avevano bruciato le tappe e la connivenza che ora la faceva da padrona era il cemento della loro unione. Per sempre.

Ester si sentì immediatamente prigioniera: la sua individualità era finita, tra le braccia del suo uomo.

E la felicità di quei momenti era offuscata da un senso di vergogna, di frustrazione per non essere stata più forte, per non aver fatto prevalere la virtù sulla voglia. C’era in lei un misto di compiacimento e di dolore, una contraddizione che conosceva ora per la prima volta in vita sua. Almeno fosse riuscita a smuovere il macigno che bloccava la confidenza di Tommaso! Che invece continuava imperterrito a tacere. Ostinatamente.

Nemmeno quella notte Ester riuscì a dormir bene. Il sonno era agitato da sogni paurosi, incubi di cui per fortuna perdeva il ricordo non appena usciva dal torpore del dormiveglia e la mente si ritrovava vigile a ripensare alla memorabile giornata, a quel pomeriggio sulle dune che aveva segnato per sempre il suo destino.

Ancora una paura l’assaliva, postuma e sostanzialmente inutile, quanto un pianto sul latte versato: non avevano preso alcuna precauzione, persi nel fuoco del desiderio e della follia dei sensi.

Se dunque ci fossero state delle conseguenze? Se un non voluto concepimento li avesse forzati ad una frettolosa unione riparatrice? E Tommaso come avrebbe preso un eventuale “incidente”? Meglio non pensarci, o meglio sarebbe stato pensarci per tempo, non lasciarsi tentare da un gioco tanto rischioso.

E l’alba la sorprese sempre più avvilita ed impaurita.

Poi una sorta di rassegnata atarassia si impossessò di lei, che finalmente cadde in un profondo, anestetico sonno.

Nei giorni seguenti Ester stette a spiare ansiosamente Tommaso, aspettando di sentire qualche parola di chiarimento o comunque di commento a quanto accaduto tra le dune; ma il ragazzo caparbiamente manteneva il suo silenzio, nonostante il suo atteggiamento fosse come al solito premuroso, ed affettuoso.

Ester invece gli teneva il broncio, perché non si aspettava questa chiusura, questa mancanza di comunicazione.

Così un pomeriggio sul tardi, quando si incontrarono per l’abituale passeggiata fino a San Marco, per fare lo struscio, il “liston” come si dice a Venezia, Ester prese l’iniziativa e sparò una domanda diretta, inequivocabile:

“Allora ci sei riuscito! Il tuo scopo era quello di farmi tua, di appagare la voglia dei sensi…”

“Se è questo che pensi, non può essere che così; d’altro canto non mi è sembrata una cosa spiacevole…”

“Certo che no, ma non pensi che se ne potrebbe parlare?”

“E a che scopo? I non fatti contano più delle parole?”

 Era disarmata Ester, e delusa profondamente; pertanto lasciò cadere l’argomento, rassegnandosi ad una più frivola conversazione improntata sui banali fatti di scuola, i piccoli problemi della classe, alle prese con la preparazione finale all’esame di stato, lo spauracchio che doveva chiudere il ciclo liceale.

Comunque i timori che nell’immediato avevano turbato la prima gioia fisica di Ester si rivelarono fondati: la ragazza scoprì ben presto che una nuova vita stava pulsando in lei, ne ebbe precisa coscienza prima ancora che il fisico manifestasse i segni inconfutabili della gravidanza.

Tommaso, messo immediatamente al corrente della situazione si dichiarò pronto a riparare nell’unico modo degno.

E senza entusiasmo Ester si preparò alle nozze, organizzò il suo distacco dalla famiglia per costruirne una nuova con l’uomo della sua vita, verso il quale tuttavia cominciava a nutrire un rancore incredibile, impensabile fino a qualche mese prima.

Eppure amava intensamente quel ragazzo, ma non riusciva a perdonargli quel suo silenzio, il fatto che non avesse giustificato lo loro unione fisica con quell’amore che Ester si aspettava; in cui credeva ancora, ma che avrebbe desiderato sentire ammettere in modo esplicito.

“Se è questo che pensi, non può essere che così!” queste le parole che continuavano a ronzarle nelle orecchie, che dilaniavano il suo orgoglio ferito, che alimentavano la sensazione di sentirsi derubata. Amore. Ma cosa poteva mai essere questo sentimento se il suo unico scopo poteva essere quella congiunzione carnale che lei si aspettava paradossalmente più permeata di spiritualità? Due corpi che si uniscono possono dare felicità solo se le anime partecipano alla festa.

Anche Tommaso talvolta sentiva il peso di quel suo silenzio vigliacco; si

rimproverava la debolezza ma non riusciva a far uscire una verità rischiosa.

Decise di aspettare la nascita del figlio. Solo allora avrebbe confessato tutto il suo amore alla moglie adorata. Alla quale tuttavia continuava a negare ogni sogno.

Capiva di correre un grosso rischio, perché ogni giorno che passava Ester si faceva sempre più rancorosa, incapace di darsi pace.

Solo le preoccupazioni e i malesseri che la gravidanza aveva portato con se riuscivano a distogliere Ester dalle sue cupe meditazioni, dai suoi momenti di lucida follia nei quali confrontava e misurava la sua altalena tra amore ed odio.

Perché in taluni momenti le sembrava di odiare il padre di suo figlio, per la tenacia con cui le aveva negato la tenerezza cui le sembrava di aver diritto. Quante volte mitizziamo la nostra voglia fino a farla diventare ai nostri occhi un diritto. Che invece rimane solo e sempre un desiderio, una aspettativa.

E finalmente arrivò il momento di Davide, il figlio che aveva causato le pene e poi fugato le ansie della giovanissima mamma. Mai pargolo fu così perfetto portatore di pace e di serenità. Sentirlo in grembo aveva dato ad Ester la forza di tirare avanti, un motivo per sentire ancora voglia di vivere. Ma vederlo, sentirlo vagire, coccolarlo e nutrirlo con il proprio seno riconciliò Ester con il mondo, e la avrebbe riconciliata definitivamente anche con Tommaso, il quale, la prima volta che tenne tra le braccia quel fagottino urlante e piangente, unì a quelle del figlio le proprie lacrime, che gli riportavano coscienza del suo testardo egoismo ed al tempo stesso lavavano la colpa.

Come per incanto gli fu chiaro per la prima volta che era stato due volte fortunato con la nascita del figlio: perché adesso viveva e cresceva un altro piccolo lui, e questo tesserino aveva squarciato la cortina dell’orgoglio di Tommaso.

Che singhiozzando confessò a Ester il suo amore.

“Vedi tesoro,ho paura di avere esagerato, di essermi comportato in modo malvagio, ossessionato dalla paura di fallire, di perderti, e non mi accorgevo che stavo per perderti davvero: ti ho lasciato credere che il mio unico scopo fosse la conquista fisica; non che non mi sia piaciuto, lo sai, te ne sarai ben resa conto, ma non era un fine, era un mezzo per legarti a me: ho voluto un figlio per avere la sicurezza che non avresti mai potuto lasciarmi, nemmeno se all’amore per assurdo si fosse sostituito l’odio: ma davvero ho corso questo rischio; in certi momenti il tuo rancore per il mio silenzio era palpabile, ergeva tra noi una cortina pericolosa; ma un figlio avrebbe cancellato ogni timore, un figlio nostro, amato da entrambi e fonte di eterno amore fra noi. Avrò il tuo perdono? Riesci ancora a capirmi, a scusare il mio orgoglio e la mia caparbietà?”

“L’hai detto anche tu: Davide è un cemento che sci unirà sempre. E poi come potrei non appezzare la tua sincerità, che ora ti costa non poco? Si, ho sofferto tanto a causa della tua ostinazione, ma non ho mai perso la speranza che ci fosse un rimedio, che non si trattasse di una semplice attrazione fisica, che anche per te un figlio fosse una cosa importante, un punto di arrivo.”

“Adesso è il mio momento di chiederti – interrogò timidamente Tommaso – cosa ti manca per essere veramente felice?”

“Beh, forse non ci crederai, ma mi pesa questa pausa obbligata, perché ora ho una voglia matta di scoparti!”

i n d i e t r o