TOPOLINO

Ho sempre odiato Topolino, per la sua tracotante sicurezza, per la sua spavalda bravura e il ribaldo modo di vincere su tutto e su tutti; un eroe troppo perfetto e vistoso.

E’ invece Paperino il mio preferito, un personaggio così teneramente sfigato, l’unico che mi potesse battere in quanto a iella.

Mi sono sempre curato poco del giudizio degli altri forse perché troppo occupato ad incazzarmi contro le beffe di un destino malvagio e malignamente burlone, sempre in agguato per guastarmi ogni cosa.

Ma per quanti timori ed angosce io sia stato in grado di macerare, la realtà è sempre riuscita a meravigliarmi e a superare le paure che mi sono prefigurato, con colpi a sorpresa di volta in volta più eclatanti.

Contro questo maligno accanimento ho alzato due barriere: una scorza dura, capace di difendere il tenero cuore che batte in profondità, e una buona dose di ottimismo che mi ha sempre consentito di esaltare a dismisura la gioia che talvolta mi procura la distrazione del destino; perché perfino a me capita ogni tanto qualcosa di buono; e allora scatta una felicità esagerata, spesso incongrua all’episodio che l’ha provocata: sono riuscito ad esaltare una sensibilità già innata, ma che amplificata con opportuno addestramento può farmi rimanere estasiato anche da cose semplici, che magari altri non notano nemmeno; un fiore o una farfalla che svolazzi attorno al fiore possono incantarmi e ficcarmi dentro una speciale soddisfazione, quasi che la loro bellezza fosse opera mia.

Forse è anche un po’ così: è la nostra attenzione, il nostro entusiasmo a far belle le cose: se non ce ne accorgiamo, la loro bellezza è inutile, sterile.

Capita anche con le persone: dobbiamo in parte la nostra vita a quelli che si accorgono che esistiamo.

Per la verità pochi si sono curati che io esistessi, ed io ho sempre ricambiato alla grande, chiudendomi in un superbo e comodo egocentrismo.

Ovviamente i parenti più stretti non hanno potuto ignorare la mia presenza, ma per il resto del mondo è sempre stato semplice non prendermi in considerazione, anche perché non ho mai tentato di ribaltare questo reciproco disinteresse.

Proprio per questo mi ha colpito così tanto il fatto che Claudia abbia fatto un passo verso di me, si sia improvvisamente accorta della mia esistenza.

Claudia era la reginetta della scuola. Bella da morire, attirava su di se non solo gli sguardi di tutti i maschi che le ronzavano attorno, ma anche l’invidia delle altre ragazze, per cui tutto sommato si trovava un po’ sola, proprio come me, anche se per ragioni affatto diverse.

Così, pur meravigliandomi del suo interesse alla mia persona, ho accettato la cosa come abbastanza naturale, una conseguenza, per me piacevolissima, di quel isolamento che a Claudia derivava, come ho già detto, da invidia da una parte e spasmodico interesse dall’altra.

Forse è proprio questo che l’ha spinta verso di me, la curiosità innescata dal fatto che ero uno dei pochi che con lei non ci avessero ancora provato; la mia non era certo virtù, ma un eccesso di timore e timidezza; poiché ero quasi certo di un bruciante rifiuto, non mi sfiorava nemmeno la tentazione di provarci, anche se veramente la voglia era tanta.

“Penso che tu sia diverso da tutti gli altri, e certamente molto più intelligente” questo l’improvviso approccio, che mi aveva lasciato senza fiato, senza parole. E per la prima volta un pizzico di fortuna si volgeva dalla mia parte: Claudia non pensò nemmeno per un istante ad una mia possibile timidezza ed attribuì il mio silenzio ad una scelta tattica furba ed opportunista; il che non faceva che accrescere la sua curiosità ed il suo interesse nei miei confronti.

”Cosa ti fa pensare che io sia più intelligente degli altri?”

“Il fatto che non hai mai fatto il cascamorto con me!”

Mi morsi la lingua per non confessarle immediatamente che lo avrei fatto molto volentieri, se solo ne avessi avuto il coraggio!

“Che ne diresti di fare due passi assieme, per chiacchierare un poco e togliermi questa curiosità?”

Non so proprio dove ho trovato il coraggio di replicare all’istante con sfrontatezza: “E tu che ne diresti di darmi la mano passando davanti ai compagni per farli morire d’invidia?”

Claudia non si fece pregare, mi porse la mano e ci immergemmo in una selva di sguardi increduli e bramosi.

Non stavo più nella pelle ed il morbido contatto mi esaltava al punto che mi pareva di camminare sulla bambagia; ma il tumulto del cuore non riuscì a rendere incerti i miei passi: avanzavo sicuro e tronfio, con una naturalezza che trovavo assolutamente nuova, ed in contrasto con la confusione che regnava nei miei pensieri; più le orecchie mi ronzavano, più il mio incedere si faceva sicuro e spavaldo.

Una nuova avventura mi scorreva adesso sotto ai piedi, mentre la fantasia correva felice ai giorni a venire.

Mai avrei immaginato una uscita di scuola tanto trionfale e carica di piacevoli sogni.

“Posso farti una domanda? – arrischiai timidamente – “Dimmi pure.” – replicò. Regalandomi uno di quei sorrisi per i quali valeva la pena di sopportare qualunque cosa, anche il rischio di una cocente delusione.

“Perché?” “Perché cosa?” “Perché hai scelto me, perché ora camminiamo insieme, facendo morire di invidia i compagni e dando motivo di critiche maligne da parte delle tue amiche” “Amiche? E quante pensi che io ne abbia? Comunque non ti ho scelto, ti ho solo chiesto di fare due chiacchiere innocenti, di dare inizio, se possibile, ad una sana, divertente amicizia.” “Una amicizia che farà scalpore, se riuscirà a nascere…” “Tu lo vuoi? Che nasca, intendo…” “Non so, devo pensarci, mi hai preso alla sprovvista” “Ora non cominciare a fare lo stupido, potrei cambiare idea rapidamente sulla tua intelligenza!” “Scusa, non volevo contrariarti, ma ammetterai che non è cosa di tutti i giorni essere oggetto di un invito così allettante!” “E tu non dovrai mai accontentarti di cose da tutti i giorni; se vuoi essermi veramente amico, devi continuare ad essere speciale, diverso da quei bambocci che continuano ad annoiarmi con i loro bavosi cattivi pensieri”.

 

Ancora una volta dovetti frenare la voglia di esternarle i miei, di cattivi pensieri. Stranamente con lei sentivo un impulso di sincerità assoluta persino pericolosa, una voglia di aprirmi come mai mi era successo prima di allora, anche a costo di perder punti, pur di apparire come veramente ero, senza fronzoli o falsi pudori.

Ma non potevo nemmeno correre il rischio di bruciarmi con una franchezza magari sgradita, e non potevo neanche contare sull’esperienza, visto che per la prima volta mi trovavo in una situazione simile; dovevo improvvisare, facendo appello a tutte le mie capacità di giudizio, e decidere in fretta: questo mi dava un brivido inconsueto, ma anche una strana baldanza, che i suoi continui, deliziosi sorrisi seguitavano ad alimentare.

“Dunque tu sei l’unico tra i ragazzi di questa scuola che non ha tentato di conquistarmi: Come mai? Non sono abbastanza carina per i tuoi gusti?” “No, non è questo, credimi! Non so, non c’è un motivo preciso; anzi il motivo c’è, solo non credo sia utile spiegarlo…” “Perché sono tonta, una bella ochetta che non può capire?” “Non volevo dir questo; è che non è facile ammettere la propria timidezza: è come un autogoal, più si è timidi e più si vorrebbe apparire spavaldi… ma la verità è che ho paura di un rifiuto; troppe volte la vita mi ha preso a calci e allora cerco di evitare le occasioni, mi tengo il sedere al coperto, sperando di scapolarla. Tu sei bellissima, tutti ti cercano, tutti cercano di starti accanto: perché non dovrei volerlo anch’io? Ma la paura di un nuovo insuccesso mi ha bloccato, ho deciso in partenza di aver perso; non mi pare di essere tanto speciale, se non nella codardia:”

“Così ho trovato il mio primo regalo per te: un pizzico di fiducia in te stesso, che spero di riuscire a comunicarti, ad insegnarti…” “Non sarà impresa facile, insegnarmi quel che ho già nel sangue: non è la fiducia in me stesso che mi fa difetto, ma la fiducia nel mondo, o meglio nel destino..” “Il destino siamo noi a dovercelo costruire!” “Ciò significa che sono un pessimo costruttore…” “Credo di no, forse sei semplicemente un poco pessimista.”  “Comunque le imprese facili non mi interessano, mentre tu mi interessi molto. Sei proprio una persona speciale, un caso da studiare, da analizzare attentamente, da vicino.”

La nostra passeggiata intanto stava per finire; eravamo arrivati, fin troppo presto, a casa di Claudia, che ora tirava per le lunghe i saluti, come se aspettasse da me un qualcosa che non sapevo darle… che stupido! Non potevo continuare a lasciarle l’iniziativa, sarebbe stato sconveniente costringerla a chiedermi un appuntamento; lei stava insegnandomi anche le buone maniere! Così azzardai: “Che ne diresti di vederci in centro più tardi? Finiti i compiti si potrebbe andare in gelateria, magari a continuare le nostre chiacchiere?” “Perché no? Sulle sei?” “Si, d’accordo, alle sei.”

E malvolentieri le lascia la mano, quella deliziosa manina che per tutto il tempo avevo stretto nella mia.

Quel pomeriggio non fu molto proficuo per i miei studi: non riuscivo a concentrarmi sui compiti, continuavo a rivivere i momenti fantastici appena trascorsi, ripensando ad una ad una alle facce incredule dei compagni, alla loro invidia.

Ma ciò che veramente intasava i miei pensieri era l’attesa di questo nuovo incontro, una occasione che non dovevo assolutamente sciupare: ma come fare, cosa pensare quando il cuore in tumulto si rifiutava di riprendere un ritmo normale, quando la mente si perdeva in un dedalo di sogni ed al tempo stesso misurava l’angoscia, il terrore di essere inadeguato, di rovinare per scarsa esperienza quello che poteva diventare il momento più bello della vita.

E se tutta questa mia ansia fosse stata esagerata? In fin dei conti quel che mi offriva Claudia era una sana, divertente amicizia (erano parole sue) e avrei fatto bene a non illudermi che ci fosse altro. Ma come si fa a non illudersi a sedici anni? Se l’inesperienza mi rendeva incerto, da un altro verso il mio amor proprio e la grande autostima mi suggerivano sogni e desideri che forse avrei fatto meglio a ignorare, ma che al momento mi riempivano di entusiasmo, una voglia di vivere ancora più prepotente di quanta ne avessi avuto fino ad allora. Così mi tirai a lucido, scelsi i miei abiti migliori, in particolare il mio adorato giubbino jeans, quello senza maniche, bianco con le bordature blu, che mi dava un’aria tanto “americana”.

Arrivai in gelateria con un quarto d’ora di anticipo, e l’ansia dell’attesa mi faceva presagire che quei quindici minuti sarebbero stati una pausa eterna, insopportabile.

Invece la pausa fu più breve del previsto: anche Claudia era impaziente di incontrarmi, ed arrivò alle sei meno dieci. Mi sorrise subito, felice di trovarmi già lì; anche lei aveva forse temuto di aspettare con trepidazione.

“Allora, ci hai pensato bene?” “A cosa?” “A quel che vuoi fare circa la nostra amicizia: ti sei lamentato di essere stato preso alla sprovvista, ma adesso hai avuto il tempo per riflettere.”

Era sempre tremendamente lucida, ricordava ogni mia parola, si sentiva che ne pesava ogni sfumatura, perciò avrei dovuto usare una grande attenzione nel parlare, una faticaccia, dal momento che per inveterata abitudine lasciavo sempre scorrere un fiume di parole, che fluiva sull’onda del sentimento, ma che prestava il fianco anche a interpretazioni non sempre positive.

E Claudia era sempre in guardia, sempre pronta a cogliere anche la minima contraddizione, che colpiva immediatamente con il suo micidiale sarcasmo.

Così scelsi, una volta per tutte, di assecondare senza pudore quel mio strano impulso ad aprirmi completamente con lei, abbandonando ogni difesa, ogni schermo.

Ma in definitiva da cosa avrei dovuto difendermi? Solo da qualche amaro colpo del destino, ma l’esperienza mi suggeriva che a questa iattura non vi è rimedio.

E poi l’unico modo per essere sicuro di non sbagliare, di non cadere nelle trappole della contraddizione è dire la verità, per quanto cruda possa essere; per fortuna a sedici anni la verità è unica, senza compromessi. Così decisi di spararle addosso la mia verità, per quanto scomoda e rischiosa: “Credo che non vorrò accontentarmi di una semplice amicizia, anche se sana e divertente!” “Allora ti hanno proprio colpito questi due aggettivi. Ma cosa mi proponi in alternativa? Vuoi proprio una alternativa? Ti sembra forse poco, ti sembra riduttivo parlare di amicizia? E tu cosa intendi per amicizia? Cosa pensi ci sia di più e di meglio?” una raffica di domande micidiali! e non potevo certo esimermi dal rispondere sensatamente. Chi di spada ferisce…

Anche se non mi appariva semplice né facile far fronte adeguatamente a richieste così dettagliate, mi sentivo stimolato a dare il meglio di me, e voglioso di misurarmi su un terreno di mio gradimento, il duello verbale su temi tanto importanti, con la piacevole prospettiva che non ci si limitasse ad uno scontro accademico, ma con la possibilità di gettare le basi per un delizioso futuro in comune.

“Vedi, alla nostra età è forse presuntuoso, e magari anche pretenzioso parlare di amore, ma ritengo assai difficile che si sviluppi una sincera amicizia tra uomo e donna”

“Non vorrai adesso ridurre la cosa ad una stupida questione di sesso? Tu stesso l’hai detto, alla nostra età dobbiamo stare attenti a non fare scelte premature, e l’amicizia è senza dubbio senza rischi, non ha età e non si mescola con questioni di sesso.”

Certo avevo trovato pane per i miei denti; Claudia non era solo bella da mozzare il fiato, era un valido antagonista sul piano dialettico, sarebbe stato un osso duro anche per me.

“Ho un bel debito di risposte nei tuoi confronti; allora: l’amicizia non è riduttiva nei confronti dell’amore, è solo diversa; per me l’amicizia è trovare piacevole la compagnia di un’altra persona, sentirla però simile e vicina, voler condividere con lei le cose belle che la vita offre; sai, non ci avevo mai pensato, ma diamo per scontato il significato di amicizia e amore, ci sembrano concetti tanto facili da afferrare perché diffusi, ma quando tentiamo una definizione approfondita, casca il palco; io almeno mi sento insicuro, tendo a confondere i pensieri; in effetti a ben vedere quel che ti ho detto tentando di definire l’amicizia si potrebbe adattare anche alla definizione dell’amore. Devo ammettere che l’amicizia è comunque una forma di amore, per certi versi superiore a quello che a prima vista mi sembrava un sentimento più importante; che invece è soltanto più prepotente, a volte anche più egoista…”

“Mi piace molto in te questa capacità di analizzare le cose anche da un punto di vista diverso dal tuo, e la rapidità con cui ammetti coraggiosamente i tuoi limiti, e accetti il confronto sui tuoi presunti errori”

“Non pensare adesso che sarò sempre tanto accondiscendente: a volte mi intriga la contraddizione come puro strumento dialettico, come stimolo di riflessione a due; sono capace di sostenere tesi nelle quali non credo per il solo gusto di sentire l’interlocutore demolire queste tesi, e vedere se lo sa fare meglio di quanto ho già fatto io nella mia mente. Ma perché continuiamo a parlare in piedi, come fossimo di passaggio? Non siamo venuti in gelateria anche per soddisfare la nostra gola? Sediamoci dunque, si parlerà meglio.”

Così ci accomodammo in uno dei tavoli in fondo al locale, un poco defilato dietro una colonna, e ci pareva di aver preso le distanze dal mondo, di essere immersi in una serena solitudine. Guardandomi negli occhi e sorridendomi, Claudia mi prese la mano e se la portò sul cuore: “Senti che strani scherzi fa l’amicizia!”

La nostra prima settimana insieme trascorse in un lampo; quando non ero con Claudia non facevo che pensare a lei, alla possibilità di trascorrere tutta la vita accanto ad una creatura tanto soave, deliziosa, in una parola bella; e mi assaliva come una angoscia la paura che potesse invece finire, che il tempo ci fosse nemico, e allora la cercavo, e se non potevo incontrarla, la contattavo al telefono, ingaggiando interminabili conversazioni, durante le quali ci raccontavamo di tutto, dai piccoli fatti del giorno a brandelli di passato, ricordi che ci facevano condividere anche tutto il tempo trascorso senza conoscerci. Non avevamo più affrontato il tema amicizia contro amore, poco ci importava delle definizioni, delle classificazioni schematiche; a noi bastava una sola parola: insieme. E oramai si faceva coppia fissa, anche a scuola a tutti pareva così naturale vederci in due, che poco a poco gli amici si allontanarono, riducendosi a comparse in un mondo dove c’eravamo solo noi.

Non potevo quasi credere che il destino mi concedesse una tregua, ero al settimo cielo per la felicità,ma come sempre dietro l’angolo c’era una sorpresa poco piacevole.

Una sera mi telefonò la mamma di Claudia per avvertirmi che la figlia il giorno seguente sarebbe stata assente, perché andava  a visitare una vecchia zia che viveva fuori città; mi pregava,se non trovavo fosse un disturbo, di passare a casa sua dopo la scuola: “So che per te la deviazione è ormai consuetudine, e Claudia mi ha pregato di restituirti quel quaderno di appunti che le hai prestato.” Trovai strano che Claudia volesse restituirmi gli appunti così presto ma ritenni opportuno non indagare: il giorno dopo avrei certamente trovato una risposta.

Così al ritorno da scuola (una mattina grigia, senza Claudia) mi fermai a casa di lei.

La madre di Claudia era una bella signora, quasi quanto la figlia, e mi accolse con un sorriso che mi era molto familiare. Era una docente universitaria, e i suoi modi, eleganti e gentili, facevano tuttavia trasparire la sua lunga esperienza di comunicazione con i giovani, con un piglio autoritario che intimoriva un poco.

“Devi perdonarmi se per invitarti qui ho fatto ricorso ad una scusa, ma come capirai tra poco avevo le mie buone ragioni. La prima delle quali era non allarmarti con uno strano invito: non volevo farti cenno per telefono del vero argomento della nostra conversazione ma al tempo stesso ho cercato una motivazione plausibile, che non ti mettesse in agitazione. Vieni, accomodiamoci in salotto.”

La seguii molto incuriosito da questo preambolo, ma sapevo, o meglio sentivo che stavo per essere messo al corrente di qualcosa di importante.

“So che frequenti mia figlia anche fuori scuola, Claudia non ha segreti con me, e per questo so anche che sei un giovane molto a modo, corretto con lei come pochi sanno fare alla vostra età. Per questo voglio parlarti con franchezza di una cosa molto seria che credo tu abbia diritto di sapere al più presto, prima che possa succedere qualcosa di difficilmente riparabile. Devi sapere che Claudia è malata in modo molto serio; fisicamente è a posto, gode di una salute di ferro, ma il male sta nella sua testa. E’ accertato clinicamente che si tratta di una patologia praticamente sconosciuta, più unica che rara, e per questo, per ora almeno, non esistono cure; una forte emozione o una grande arrabbiatura possono provocarle una irreversibile amnesia dei fatti temporalmente vicini: tu capisci vero cosa significa questo,quale è il rischio, che se nasce qualcosa tra voi possa irrimediabilmente sparire, inghiottito nell’oblio?…”

Annuii più per compiacenza che per convinzione: solo più tardi avrei assimilato a pieno cosa significava tutto questo per me.

“Sapevo di poter contare sulla tua intelligenza, Claudia non fa altro che descriverti come il migliore, come una persona stupenda. Certo mi fate molta pena, tutti e due…”

Ringraziai la mamma di Claudia, la rassicurai confermandole di aver afferrato il problema e mi accomiatai, tornando velocemente verso casa, con la morte nel cuore. Lentamente mi si faceva sempre più chiara la tremenda, ineluttabile condanna, ancora una trappola, la più odiosa e terribile che il destino mi aveva teso.

Non sapevo più cosa fare, come affrontare questa prova disumana, così mi risolsi a far leva sul carpe diem tentando di esorcizzare questa maledizione cancellandola dalla memoria; magari si fosse trattato di una malattia contagiosa! Avrei cercato di prendere da Claudia l’infezione e trovare giovamento in un reciproco perdersi di memoria e sentimenti.

Che invece si ripresentarono con tutta la loro prepotenza il giorno seguente, finalmente a fianco della mia Dulcinea.

Tornando a casa da scuola le proposi di fare, nel primo pomeriggio, una passeggiata in periferia, dove le case si diradano per perdersi a poco a poco in una rigogliosa, ridente campagna.

Aderì entusiasta a questa proposta e ci accordammo sull’appuntamento alle sedici.

“Preparerò uno spuntino, faremo una vera merenda sull’erba” La sua spensierata allegria mi contagiava; cercai disperatamente di allontanare lo spettro che mi tormentava e le risposi sorridendo “Alle sedici allora; porto io la tovaglia!”

Ma nel tragitto verso casa erano i più neri pensieri a farmi compagnia. Anche la risoluzione di vivere alla giornata non mi bastava più: era una continua angoscia a permeare ogni previsione, ogni aspettativa.

Nemmeno la prospettiva di un pomeriggio all’aria aperta con Claudia riusciva a farmi dimenticare la spada di Damocle che pendeva sulla mia testa. Cosa avrei fatto se…

Dovevo riflettere, dovevo essere preparato, non potevo affidarmi all’estro del momento…

E quel che temevo non tardò ad accadere!

Stesi sulla tovaglia che avevo portato per il pic-nic guardavamo romanticamente le nuvole, tenendoci teneramente per mano.

“Allora, cosa aspetti?” “Aspetto cosa?” “A baciarmi, stupido! Vuoi che diventi vecchia aspettando che tu vinca la tua battaglia con la timidezza?”

Era questo il momento tremendo e temuto: se nicchiavo Claudia si sarebbe seriamente inferocita, e aderendo all’invito, mi immaginavo già che emozione le avrebbe attraversato il corpo, portando la sensazione direttamente dalle labbra alla mente, con il risultato che un cortocircuito mi avrebbe azzerato per sempre. Ma la decisione era già stata preparata, sapendo che comunque la condanna sarebbe stata eseguita, perciò senza indugio la baciai, a lungo, sperando che non finisse mai.

E invece finì, come era previsto, come doveva finire!

Claudia impallidì e tremante bisbigliò: “Sto male, molto male! Portami a casa per favore.”

Così mestamente, in silenzio la riportai a casa; non ebbi il coraggio di chiederle nulla, se non, arrivati sulla soglia di casa sua: “Vuoi che ti accompagni sopra?” cui replicò con un filo di voce: “Non importa, ce la faccio da sola; grazie ancora e ciao”

Cominciò il periodo più buio della mia vita; di tanto in tanto telefonavo alla mamma di Claudia, per avere notizie, ma la risposta era sempre una sola: “Povero figliolo, ti devi rassegnare. Ti avevo avvertito che purtroppo non esiste rimedio” e con voce molto triste e rassegnata mi congedava esortandomi a portar pazienza.

Poco a poco andavo metabolizzando la mia nuova condizione, e per consolarmi mi dicevo che comunque mi era stato concesso di vivere, per quel poco che era durata, una avventura meravigliosa, unica. Pensai persino di farle la corte quando Claudia fosse tornata a scuola. In fin dei conti la conoscevo benissimo, meglio forse di quanto conoscessi me stesso. Ma sarebbe stata in grado, non ricordando nulla di me, di apprezzarmi una seconda volta? Avrebbe mantenuto gusti, idee, inclinazioni, desideri e non sarebbe stata la mia una vigliaccheria approfittare di una creatura indifesa? Peggio che rubare in chiesa tentare di conquistarla sfruttando tutto quello che sapevo di lei. E anche fossi riuscito nell’intento, quale vita avremmo avuto, con l’ansia, la paura di contrariarla, o dovendo peggio ancora far attenzione a non provocarle nemmeno emozioni positive?

Ma la risposta a tutti questi dubbi era una sola: che vita sarebbe stata senza di lei?

Il tempo, medicina eccellente, lavorò per me e qualche anno più tardi Claudia divenne mia moglie. Una compagna deliziosa, che non mi fece mai mancare il suo affetto, la sua tranquilla dedizione, ma era comunque una persona diversa dalla spumeggiante Claudia dei nostri sedici anni!

Abbiamo trascorso insieme trent’anni di un tranquillo, sereno matrimonio, senza scosse né voli pindarici, un quieto menage ricco se non di felicità completa, di serenità, di rilassante convivenza. Niente figli, ovviamente, Claudia non avrebbe retto l’emozione di una maternità.

Solo qualche volta in tutto questo tempo mi ha preso una struggente nostalgia per l’estasi dei nostri primi giorni, il rimpianto per quel che poteva essere e non è stato.

Avevamo organizzato, per festeggiare i nostri tutto sommato bellissimi trent’anni assieme una cenetta romantica, solo per noi due, in uno dei migliori ristoranti della città. Qualche giorno prima della nostra festa Claudia mi chiese candidamente:

“Vorresti farmi un grande regalo? Prima di andare a cena giovedì, potremmo passare un’oretta in quella gelateria in centro e finire finalmente la nostra disputa su amicizia e amore?"

 i n d i e t r o