Quando l'ho rivista, dopo
quarant'anni, non era minimamente cambiata; né era cambiata l'emozione che
si impadroniva di me, rivedendola, rispetto all'emozione di allora. Sempre
bella, bellissima, con quel suo algido e misterioso sorriso che anche
quarant'anni prima mi aveva stregato.
Ero giovane allora, un
romantico ventenne trapiantato a ottocento chilometri da casa per prestare
servizio militare. A Caserta, che a parte la reggia, pareva l'incarnazione
di un incubo, il farsi città del mio malessere lontano dai miei luoghi,
dalle mie abitudini.
Veramente insignificante
come tessuto urbano, ma forse ero io a vederla così, con gli occhi falsati
dalla nostalgia di casa, dal disappunto di essere stato controvoglia
scaraventato li.
Ci sono tornato l'anno
scorso, a Caserta, e l'ho trovata ancora bruttina, sempre con l'eccezione
della reggia, ma ho ridimensionato la pessima impressione della prima volta:
effettivamente ero stato fuorviato nel primitivo giudizio dalla rabbia di
dover passare un lungo periodo senza le mie amicizie e soprattutto senza
lei, quella che mi è stata compagna in questi quarant'anni.
Quest'ultimo inconveniente
mi aveva ancor più isolato, tanto che i momenti di libertà, le libere uscite
serali ed i giorni di festa li trascorrevo in solitudine, bighellonando a
mo' di triste turista per la Campania.
Bazzicavo musei,
pinacoteche e chiese; queste ultime non per fede o per pietà ma per
scoprirvi tanti tesori d'arte, esposti ed accessibili al pubblico anche
quando musei e pinacoteche erano chiusi.
Fu a Napoli che la
incontrai la prima volta: era nella Cappella Sansevero; bella, altera,
affascinante; rimasi un bel pezzo a rimirarla, prima di andare a leggere
sulla placchetta di ottone titolo dell'opera ed autore: "la Pudicizia, di Antonio
Corradini".
Lo scultore, che scoprivo
allora, era stato superbo, tanto nel modellare le fattezze della splendida
creatura, quanto a creare una magnifica illusione: il marmoreo volto era
velato, ma la superlativa tecnica trasfigurava il marmo, il velo sembrava
vero, una impalpabile coltre di tessuto che nulla nascondeva e il volto che
traspariva sotto quel velo era il più incantevole che avessi mai visto: era
vivo.
Fu un vero colpo di
fulmine; ero talmente emozionato da scordare perfino i miei affanni e rimasi
in estatica ammirazione per almeno un'ora; non riuscivo, anzi non
volevo separarmi da quella visione, non desideravo interrompere quel magico
incantamento.
Da allora cominciai a
frequentare assiduamente quella chiesa, per incontrare lei, la donna velata
e rinnovare ogni volta l'incantesimo: tuttavia la coltre del
tempo ha coperto questo ricordo, sopito tra tante cose belle accumulate in
una vita tutto sommato felice.
Fino ad una settimana fa,
quando, visitando Ca' Rezzonico, incontrare un'altra copia della donna
velata mi ha lasciato senza fiato; non era figura intera questa volta, solo
un mezzo busto, ma il volto sempre magnificamente travolgente ed i piccoli
ma ben modellati seni trasmettevano una sensualità nuova, che la figura
intera non era riuscita, quarant’anni prima, a farmi percepire.
Un incontro emozionante.
Non è stato solo ritrovare
una immagine a me così cara, ma in un colpo ho riassaporato il gusto della
giovinezza: la mia oramai sfiorita, solo un piacevole ricordo, la sua
immutata, fermata in eterno nel marmo.
Ho ripreso le mie visite
alla Pudicizia; tutti i pomeriggi sono tornato a Ca' Rezzonico,
approfittando dell'ingresso gratuito ai residenti; il terzo giorno al
botteghino della cassa dove comunque si deve ritirare il biglietto gratuito
di ingresso, per accontentare il sensore elettronico che registra ogni
accesso, l'impiegata, incuriosita da tanta costanza, mi ha rispettosamente
chiesto se fossi un giornalista; le ho spiegato che “no, sono un semplice
appassionato d'arte e sto scrivendo un libro sulle preziose testimonianze
del passato custodite nel museo del '700 veneziano”.
Ma stasera ho escogitato
qualcosa di speciale; alla chiusura del museo, mi sono nascosto nello
sgabuzzino delle scope, dislocato nelle toilettes di piano terra ed ho
atteso con pazienza il defluire del pubblico; poi tocca al personale di
servizio, finché verso le otto di
sera il palazzo rimane vuoto, tutto a mia disposizione.
L'oscurità non è totale,
qualche punto luce qua e là, lasciato acceso perché le ronde di sorveglianza
possano muoversi agevolmente, mi consente di destreggiarmi senza grandi
problemi fra gli enormi saloni.
Sono veramente solo, perché
la sorveglianza notturna prende servizio dalle ventuno. Senza difficoltà
arrivo al mio appuntamento; oramai conosco così bene la strada che potrei
raggiungere la mia bella anche al buio.
Nella penombra il biancore
del marmo pare risplendere, e avvicinandomi trepidante mi sembra di notare
qualcosa di strano: gli occhi di lei, solitamente chiusi sono leggermente
socchiusi, quasi che con ansia stia spiando il mio arrivo: man mano che mi
avvicino la
visione diventa sempre più nitida e con stupore mi accorgo
che il velo non c'è più!
Quando ormai le sto
d'appresso quegli occhi senza ombra di dubbio mi fissano e lo sguardo scende
a scovare la mia anima.
Quasi in “trance” avvicino
ancora di più il mio volto al suo e le incantevoli labbra si dischiudono:
dolcemente appoggio su di loro le mie e un brivido strano mi attraversa il
corpo; un fluido misterioso passa per le nostre bocche ormai allacciate e
dolcemente sprofondo in una ovattata incoscienza, mentre il mio corpo si fa
di pietra...