Fulvio non poteva credere che fosse davvero finita:
ora si trovava immerso come in una bambagia neutra, che lo avvolgeva e lo
cullava, impedendogli di pensare, ma anche di soffrire e di mettere in atto
propositi insani: anche se il primo pensiero che gli aveva attraversato la
mente quella sera che furente Sandra lo aveva lasciato solo in casa, a
meditare sui suoi errori era parsa unica possibile via d’uscita, la rinuncia
a vivere, che tanto la sua vita senza Sandra sarebbe stata un insulso
trascinarsi verso una fine ancora più ingloriosa, verso una vergognosa
consunzione; perché sapeva che Sandra per nulla al mondo sarebbe tornata sui
suoi passi.
Mai in vita sua aveva messo in discussione una
decisione presa, anche se sotto la spinta dell’ira e della umiliazione.
Sandra sapeva sempre alla perfezione quale sarebbe
stata la strada migliore da intraprendere, in ogni momento ed in ogni
circostanza: non certo come Fulvio, eternamente in bilico, vittima e schiavo
dei propri dubbi, sia quelli esistenziali che le banali incertezze del
quotidiano; odiava scegliere e per non doverlo fare rinunciava volentieri
anche ai propri gusti: era la moglie che ogni mattina decideva come Fulvio
doveva vestire quel giorno, se indossare giacca e cravatta o buttarsi sullo
sportivo; e se la scelta fosse caduta sul classico, anche la cravatta,
pescata nella cospicua collezione di Fulvio, era soggetta al vaglio attento
di Sandra, che badava non solo all’accordo cromatico dell’accessorio con il
tono dell’abito, ma si sforzava di interpretare l’umore e lo spirito della
giornata del marito, addirittura in modo indipendente da lui stesso: quante
volte, svegliatosi di cattivo umore, Fulvio era andato allegramente al
lavoro solo perché Sandra aveva scelto per lui una cravatta spiritosa,
magari una delle tante dedicate ai maiali.
Fulvio ne aveva una raccolta notevole e soleva
scherzare asserendo che la cravatta era un suo speciale biglietto da visita,
una specie di avvertimento: “Così le mie donne sanno cosa aspettarsi”.
In realtà non c’erano
donne che da Fulvio si aspettassero alcunché: il suo era solo uno stilema,
un adeguarsi al tipico atteggiamento da
macho
italico, che comunque non gli si
addiceva.
Monogamo più per pigrizia che per vocazione, Fulvio
non si era mai concesso alcuna scappatella extraconiugale, per tutti i
vent’anni di matrimonio, quei vent’anni di cui ora cominciava a rimpiangere
ogni istante.
Ancora si chiedeva come e perché avesse stupidamente
rovinato la sua vita; soprattutto si interrogava sul fatto che comunque si
ritrovava ora con un pugno di mosche: una avventura, peraltro neanche
cominciata, aveva cancellato tanti anni di vita in due, così, in un attimo,
e Fulvio ne era rimasto stordito
Questo tentativo di avventura era in effetti
qualcosa di banalmente incredibile.
Fulvio improvvisamente, senza una ragione profonda,
pensò di essersi innamorato di una ragazzetta che poteva benissimo essere
sua figlia: venticinque anni, alta, slanciata e bionda; tutto qui!
Era la nuova cuoca della mensa aziendale e non c’era
mai stata nemmeno una parola tra loro, Fulvio non sapeva di lei altro che il
nome, Amanda, e tanto gli era bastato per credersi perdutamente innamorato;
di belle donne Fulvio ne aveva sicuramente incrociate parecchie ma nessuna
aveva avuto il potere di attrarlo come Amanda; era conscio che si trattava
di una attrazione fisica, ancorché speciale, in quanto isolata, anzi unica
in un quarantacinquenne che si riteneva al riparo da qualsiasi infatuazione.
Ma questa presa di coscienza non gli impedì di
cullare l’illusione che si trattasse di qualcosa di diverso, di aver trovato
finalmente il grande amore. Nemmeno Sandra era stata così sconvolgente nella
vita di Fulvio; assieme fin dall’infanzia, i due erano quasi predestinati:
le famiglie erano amiche e da sempre era aleggiato il progetto che Sandra e
Fulvio ne costituissero l’unione definitiva; quindi, trascorsi insieme
fanciullezza ed adolescenza, non appena i giovani furono giudicati maturi,
cioè dopo la laurea di entrambi, le predestinate nozze avevano sancito
definitivamente il loro essere coppia.
C’era tra loro un affetto assai intenso, ma non si
può dire che vi fosse un amore travolgente, come Fulvio immaginava dovesse
essere il grande amore.
Stavano bene assieme, ma il loro stare insieme era
un quieto vivere pantofolaio, felice e senza scosse; ma anche senza impeto,
passione e Fulvio covava in se questa carenza, questa voglia inconfessata di
qualcosa di speciale, di unico.
Così quando mise gli occhi su Amanda sentì,
sbagliando grossolanamente, che poteva essere la volta buona; mise allora da
parte ogni scrupolo e cominciò a corteggiare la ragazza in modo discreto ma
insistente; lei, pur lusingata da tanto interesse, non si sognò nemmeno di
dar retta a questo pur “simpatico” cliente, poiché la simpatia non le pareva
motivo sufficiente per imbastire una relazione con un uomo molto più vecchio
di lei e per giunta sposato.
Il fatto che Amanda fingesse di non accorgersi della
corte spietata di Fulvio non dissuadeva l’impertinente dai suoi propositi,
che anzi la difficoltà della conquista rendeva ancora più interessante ed
eccitante l’impresa.
Perciò, nonostante un nulla di fatto, il
comportamento strano del marito non poteva non farsi notare da Sandra,
sempre attenta ai cambi di umore del suo sposo.
Il modo più semplice per sapere le cose tra due
persone in grande confidenza è una domanda diretta, che Sandra pose, ma
Fulvio nicchiò e per la prima volta in vita sua mentì a Sandra.
“Non ho nulla di speciale; forse sono un poco
stressato dal lavoro, è un periodo di grandi manovre in ufficio, si stanno
decidendo le nomine di quanti dovranno rimpiazzare ben tre capi divisione
andati in pensione; sai che della carriera non mi importa molto, ma il salto
retributivo sarebbe notevole, e credo di essere in pista in posizione molto
favorevole”.
Sandra non se la bevve, ma non era sua abitudine
contestare quel che Fulvio le raccontava; perciò la questione morì li.
Ma intanto il tarlo del dubbio, unito
disastrosamente al senso di colpa contribuiva a rendere sempre più cupo
l’umore di Fulvio, che accumula stress come in una pentola a pressione; ma
prima o poi questa tensione sarebbe scoppiata, e gli effetti di tale
deflagrazione Fulvio si immaginava bene sarebbero stati devastanti; e lo
furono.
Quando finalmente si decise a vuotare il sacco,
Fulvio sperimentò di fatto quello che in cuor suo aveva temuto, quello per
cui si era deciso a mettere in atto la prima grande menzogna della sua vita,
una omissione pericolosa, ma dalla vita corta.
Messa al corrente degli interessi extraconiugali del
marito, Sandra reagì purtroppo come Fulvio aveva immaginato: furente
abbandonò casa e marito, ben decisa a non ritornare sui suoi passi.
A Fulvio non rimase che raccogliere i cocci di una
esistenza sbagliata, resa quasi insopportabile da un unico piccolo grande
errore.
Ma bene o male la vita
continuava: arrivò anche la promozione sul lavoro, che Fulvio si limitò a
registrare con il più assoluto disinteresse; l’unico vantaggio che per il
momento ne ricavò fu il cambio di ufficio, una stanza tutta per lui, come si
addiceva ad un Capo Divisione, con tanto di segretaria in anticamera, a far
da filtro per il mondo intero: la Direzione
gli concedeva inoltre due settimane da dedicare interamente allo studio,
alla preparazione ai nuovi compiti con l’auto apprendimento solitario; solo
quando avesse avuto una infarinatura sufficientemente completa della materia
si sarebbe affiancato ad impiegati anziani, gli esperti di settore.
Per ora poteva starsene tutta la giornata da solo,
ed era evidente che parte del suo tempo l’avrebbe dedicata all’esame dei
suoi problemi personali, senza peraltro portar via nulla all’Azienda; la sua
capacità di apprendimento era infatti di molto superiore alla media, così
con un paio d’ore di studio intenso pareggiava i conti con la sua coscienza
e dava alla Società l’esatto corrispettivo della retribuzione ricevuta.
Il tempo che Fulvio recuperava per se sfruttando le
sue capacità così fuori del comune lo dedicava quasi interamente ad
internet; aveva scoperto un forum, un gruppo di discussione che lo aiutava a
ritornare indietro con gli anni, a rinfrescare l’interesse per una passione
giovanile che credeva assopita per sempre, l’amore per la poesia.
In questo forum bazzicavano personaggi interpreti
della più varia umanità, e Fulvio in principio si limitò a leggere,
assorbendo di tutto: sproloqui, velleità manifeste, in alcuni e per fortuna
limitati casi turpiloquio e blasfemia, alla faccia dei poeti!
Ma c’era anche del buono: autori che garbatamente
proponevano i loro lavori, a volte premiati da commenti di altri autori
ricchi di spunti, molti assai tecnici, espressi con competenza.
Non mancò di notare anche svariate manifestazioni di
presunzione; taluni infatti si definivano poeti e si piccavano d’esserlo per
il solo fatto che la loro prosa usava degli “a capo” arbitrari, tanto per
travestire da versi delle prosaiche inutilità.
Il più delle volte nemmeno i concetti espressi
valevano a salvare i componimenti pomposamente definiti “poesie”; luoghi
comuni, retorica, malinconie romantiche la facevano da padroni.
Era quindi inevitabile che chi si toglieva dal mazzo
attirasse immediatamente l’attenzione di Fulvio, che cominciò a seguire
sistematicamente tutti gli scritti di una tal Viola.
Costei si descriveva come una ragazza moderna, sulla
trentina, delusa dall’imperare del maschilismo ma renitente a ghettizzarsi
nell’equivoco reparto “donne sole e deluse”.
Ovviamente Fulvio mise in conto la possibilità
invero assai elevata in rete che la persona che si firmava Viola fosse
tutt’altro che una giovane donna moderna.
Ma fintanto che ci si scambiavano solo scritti, la
cosa poteva avere una rilevanza assai modesta, anzi il gioco sottile del
possibile reciproco inganno rendeva ancora più stimolante il rapporto,
c’erano continue attenzione e tensione, il che migliorava anche la voglia di
conoscersi più a fondo, di esplorare quei risvolti del non scritto e non
detto dove intelligenza ed intuizione davano allo scambio epistolare un
surplus di interesse.
Così si lasciava cullare dalla voglia di scriverle,
di rivelare la sua attenzione, che a questo punto stava per diventare
devozione; ma si tratteneva dal farlo per timore di sbagliare “entrata” e
rovinare tutto, e anche in parte per la paura che dietro alle belle parole
si nascondesse qualcosa di fasullo, qualche possibile amara delusione.
Ma finalmente si risolse a farsi avanti, dopo aver
letto questo componimento che Viola aveva pubblicato sul newsgroup:
nel cono d’ombra della mia ignoranza
lascio che parli solamente il cuore
perché qualcuno veda la distanza
intercorrente tra la voglia e amore;
solo a chi condivida il mio sentire
potrò svelare la mia nostalgia
e solo a lui io voglio far capire
quanto sia forte la mia fantasia:
gli farò fare un gioco, o meglio un viaggio
dentro le pieghe d’ogni mio pensiero;
è questa esplorazione a largo raggio
che saprà rivelargli il mio mistero.”
Fattosi coraggio, Fulvio replicò in questo modo:
Seguo da tempo ogni tua scrittura
Così dolce e pur ricca di emozione;
mi svelo adesso, vinta la paura
di apparire soltanto un curiosone;
aspiro a fare il gioco che hai promesso,
‘ché mi intriga quel viaggio nella mente
di una persona così interessante;
fammi provare, e certo avrò successo.!
Pensiero”
“Caro Pensiero – Viola rispose con una e-mail
privata e non sul newsgroup – il mio primo impulso alla lettura della tua
replica è stato di stizza: come si permette questo signor “Pensiero” di
prendersi gioco di me, di farmi il verso con dei versi! Ma rileggendo
attentamente sono stata assalita da un dubbio, cioè che tu possa essere
vero! E’ per questo che ti sto scrivendo in privato: per saggiare il tuo
esistere davvero. Però ti scongiuro di non prenderti gioco di me; se sei
fasullo ti basterà poco per risparmiarmi un grande dolore e per fare al
contempo un’opera buona: evita di rispondermi, ritorna nel nulla da cui
vieni e lasciami vivere in pace; apprezzerò oltre misura questa eventuale
cortesia nei miei confronti”
“Gentilissima Viola, volentieri le replico –
Fulvio era passato al “lei” in segno di rispetto e serietà – per mostrarle
che non solo esisto, ma che nutro nei suoi confronti grande stima e fiducia,
al punto che rinuncio di buon grado all’anonimato (ma la prego di non
sentirsi in obbligo di imitarmi); dietro lo pseudonimo “Pensiero” c’è il
nome vero, Fulvio A….. e potrà trovarmi, se lo vorrà a questo numero di
telefono: 333… Sono veramente e vivamente interessato al gioco che propone,
vorrei saperne di più ma “a pelle” sento che mi piacerà comunque.
Fulvio.”
“Caro Pensiero, ti ringrazio per la facoltà che
mi concedi di restare un poco defilata; non è che mi manchi il coraggio di
svelarmi ma rimango per te la misteriosa Viola proprio perché penso
possibile farti partecipe del mio gioco, che prevede come premio finale a
chi lo meriti la soluzione del mio rebus. E’ per questo che non userò il
numero di cellulare che con grande fiducia mi hai comunicato; ma per
premiare questa fiducia di tanto in tanto ti invierò SMS. Sappi comunque che
pur apprezzandone franchezza e coraggio, Fulvio per me non esiste, non
ancora; forse verrà il suo tempo, ma adesso per me tu sei solo Pensiero,
aspirante giocatore. Non ci sono prove specifiche da superare per essere
ammessi al mio progetto, ma ho bisogno di conoscerti meglio, di sondare il
tuo animo per evitare future reciproche delusioni. Scrivimi ancora, che solo
le parole saranno passaporto per una possibile felicità.
Viola”
Così Fulvio si imbarcò nell’avventura più
entusiasmante e al tempo stesso più sconvolgente della sua vita; iniziò una
fitta corrispondenza con Viola, toccando gli argomenti più vari,
inframmezzati dal racconto di un passato recente e remoto, brandelli di
vita, ricordi ed impressioni che venivano scambiati reciprocamente, così che
nello spazio di sei mesi i due potevano dire di conoscersi così
profondamente come poche coppie nella vita reale potevano vantare.
Sempre che entrambi avessero scritto cose vere, che
nessuno dei due avesse inventato, o infiorato la verità per apparire
migliore, più interessante.
Fulvio per parte sua non aveva nascosto mai nulla,
considerava questo scambio di parole come una catartica confessione e si
preoccupava non solo di non mentire, di non modificare nulla della verità a
lui nota, ma addirittura approfittava di questa ghiotta occasione per auto
analizzarsi.
Come fosse seduto sul lettino di uno
“strizzacervelli” usava gli episodi della sua esistenza per esorcizzare le
paure, rimuovere complessi e fobie e rafforzare la sua psiche; una cura
questa che gli procurava inoltre un indicibile senso di benessere:
tuffandosi in questa comunicazione a volte parossistica era riuscito a
dimenticare in parte le sue disavventure sentimentali, a darsi una nuova,
meravigliosa ragione di vita.
Viola sembrava stare al gioco, appariva ugualmente
interessata e gioiosamente entusiasta dell’evolversi della situazione, tanto
che ben presto mise sul tappeto il famoso progetto, quello che avrebbe
svelato il suo mistero.
Il gioco consisteva, e ora saggiate le reciproche
affinità le pareva possibile, nel tentativo di scrivere un romanzo a quattro
mani: lei avrebbe preparato un canovaccio, una trama che si sarebbe
sviluppata e rivelata poco a poco, “in itinere” mentre Fulvio l’avrebbe
portata a compimento, aggiungendovi del suo, a piacere e discrezione.
Altri sei mesi ci vollero per portare a termine
questo lavoro, tra prima stesura e revisione finale, ma il risultato era
veramente buono, non solo agli occhi interessati dei coautori: Viola era ben
conosciuta nell’ambiente letterario, così disse a Fulvio, e due affermati
critici avevano espresso pareri lusinghieri sul manoscritto sottoposto loro
da Viola per amicizia, e inventando come autore un giovane nipote alla sua
prima impresa.
Tuttavia il risultato che Fulvio si aspettava non
era il successo letterario, ma la soluzione del mistero “Viola” la quale ben
presto mantenne la promessa.
“Caro Fulvio – era la
prima volta che Viola non si rivolgeva a Pensiero dopo più di un anno e
centinaia di e-mail – adesso è proprio arrivato il tuo momento; se non hai
di meglio da fare, verrei sabato prossimo alle 17 a casa tua, per svelarmi
finalmente, e poterti guardare negli occhi. Che ne pensi?”
“Non sto nella pelle, Viola e non so come farò a
pazientare fino a sabato: Sono rimescolato ed impaziente, come un bimbo la
vigilia di natale: Ma due giorni passeranno in fretta, almeno lo spero. A
sabato dunque, Pensiero in pensione!”
In realtà due giornate furono interminabili, spese a
riassettare l’appartamento, per renderlo degno di tanta visita.
Così sabato pomeriggio alle quattro Fulvio era
pronto ed impaziente più che mai, tirato a lucido come per la prima
comunione. Teso come una corda di violino, al trillare del campanello di
casa sussultò e il cuore cominciò a pulsare furiosamente. Possibile che
Viola fosse così tanto in anticipo? Meno male che tutto era già pronto; si
accostò allo spioncino e quasi gli prese un colpo.
In piedi sul pianerottolo, in paziente attesa c’era
Sandra:
Dopo più di un anno, proprio oggi doveva rifarsi
viva?
Fulvio, già emozionato del suo, ora era piombato in
pieno marasma. Che fare? Avrebbe potuto non aprire, fingere di essere via.
Ma che stupidaggine! Non aveva cambiato serratura e Sandra avrebbe usato le
sue chiavi, in fin dei conti era ancora casa sua.
Bella figura farsi trovare li dentro, confuso e
imbarazzato!
Poi lo assalì una strana nostalgia, di colpo la
trepidazione era svanita e suo malgrado si accorse di desiderare ancora
Sandra, di esser felice di rivederla ed ansioso di sentirla ancora vicina,
nonostante l’imbarazzante circostanza di essere in attesa di un’altra visita
importante.
Allora risoluto aprì la porta e sfoderando uno
smagliante sorriso esclamò: ”Ciao, che piacevole sorpresa rivederti!
Accomodati, ti prego – ridacchiò – fai come fossi a casa tua!”
Sandra entrò con il solito piglio da regina; era Sua
Signoria che riprendeva possesso del reame, questo Fulvio lo capì
immediatamente, e cominciò a tremare al pensiero che tra meno di un’ora la
sua vita poteva sfiorare la tragedia.
Come trarsi d’impaccio? Forse poteva ancora fermare
Viola, telefonarle annunciando un improvviso malore, ma come l’avrebbe
presa? Forse preoccupata si sarebbe precipitata da lui, incurante delle sue
proteste: ”Non serve, non è poi un gran malessere!”
Sicuramente lei avrebbe risposto: “E allora perché
non vederci? Se gli amici non si fanno presenti nel momento del bisogno, che
amici sono?”
Era proprio in un bel pasticcio, non c’era che dire,
e non sapeva come venirne fuori.
Intanto bisognava sorridere a Sandra, che già dava
segno di voler prendere il comando delle operazioni: “Ti vedo un po’
agitato. Ti ha disturbato la mia visita improvvisa? Forse aspettavi
qualcuno? O qualcuna?” aggiunse maliziosa, pareva sapesse. “Mamma mia che
guaio – pensò Fulvio – eppure son contento che sia qui, che sia tornata, ma
mi sento terribilmente in colpa per Viola: Ma è possibile, Dio mio, amare
così tanto due donne? e contemporaneamente? e perdutamente? Non saper, non
voler rinunciare a nessuna delle due? Pure sono incompatibili. Sandra ha la
priorità; ma Viola non se lo merita di esser messa da parte; in che guaio mi
sono cacciato? Ma mi ci sono cacciato? Potevo prevederlo, evitarlo? E adesso
che faccio?”
Lo sgomento, il terrore stavano dipingendo sul volto
di Fulvio una smorfia amara che cominciò a preoccupare Sandra, e la donna
decise di forzare i tempi. In fin dei conti poteva comunque sentirsi paga.
Tirò dunque fuori un fascio di fogli dattiloscritti
sui quali troneggiava il titolo del famoso romanzo in società.
“Pensa che stramba coincidenza: l’editore mi ha
rifilato per la prima lettura questa meraviglia; non ti pare incredibile?”
Fulvio stava per svenire: il destino non poteva
essere così crudelmente beffardo, utilizzare la professione di Sandra,
critico letterario di chiara fama, per giocare a Fulvio un tiro tanto
mancino!
Ancora una volta fu la moglie a salvarlo, ad
acciuffarlo dal baratro in cui stava precipitando:
“Tranquillo, ora respira a fondo e rilassati. Cerca
di prepararti con serenità alla rivelazione che ti sei meritato: Viola non
esiste, Viola è Sandra, non assetata di vendetta ma vogliosa di recuperarti;
perché in fin dei conti sei sempre l’uomo della sua vita e per amore si
possono anche seppellire i principi.”
Prima della parola fine, entrambi esclamarono,
ancora una volta all’unisono: “Ti voglio bene”
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